Alla scoperta del caffè decaffeinato: "senza" caffeina, senza esagerare
Viaggio alla scoperta del caffè decaffeinato: dai metodi per estrarre la caffeina (che, comunque, un po’ c’è) ai principali benefici per la nostra salute.

- Caffè decaffeinato: non è solo una questione di gusto e di abitudini di consumo. Talora il “deca” può essere una piacevole esigenza.
- Alla scoperta delle fasi principali del processo di decaffeinizzazione: ecco come nasce il caffè decaffeinato.
- Dall’acqua all’anidride carbonica: sono molteplici e diversi i tipi di solvente utilizzati nell’estrazione della caffeina. Analizziamo pro e contro.
- Pur presentando un esiguo quantitativo di caffeina (per legge meno dello 0,1%), i nutrizionisti raccomandano di non eccedere nel consumo di caffè decaffeinato.
- Come per il caffè tradizionale, 3-5 tazzine al giorno di decaffeinato, in assenza di altre fonti di caffeina, rappresentano un consumo compatibile con la salute per la maggior parte degli adulti sani.
- È sbagliato affermare che il caffè decaffeinato fa male. I benefici sono assimilabili a quelli del caffè normale.
Alternativa gustosa, piacevole esigenza
Per molti è un’abitudine: una valida alternativa al caffè tradizionale. Altri, di contro, lo guardano con sospetto. C’è chi ne decanta i benefici e chi, invece, lo ritiene un caffè di qualità inferiore. Parliamo del caffè decaffeinato. La sua peculiarità è di essere privo (o quasi) di caffeina. Si tratta dell’alcaloide naturalmente presente nei chicchi di caffè. Non è solo una questione di gusto e di abitudini di consumo. Talora il decaffeinato può essere una piacevole esigenza. È il caso, per esempio, delle donne in gravidanza che, come noto, devono contenere il consumo di caffeina. Le Linee guida per una sana alimentazione invitano a non superare le 2 tazzine di caffè al giorno. Ricorrendo, appunto, al decaffeinato qualora si avesse il desiderio di ulteriori caffè. Ma che differenza c’è tra caffè decaffeinato e normale? Scopriamolo insieme.
Come funziona il processo di decaffeinizzazione
Non tutti sanno che i primi esperimenti di estrazione della caffeina risalgono addirittura a inizio ’900. Da allora sono state sviluppate e affinate diverse tecniche di decaffeinizzazione. Quelle oggi in uso sono sicure e rigidamente regolamentate. Il processo di decaffeinizzazione prevede 6 fasi essenziali.
- Si parte con il gonfiaggio: i chicchi di caffè vengono, appunto, gonfiati con acqua e vapore acqueo per distanziare la loro struttura cellulare e facilitare l’estrazione della caffeina.
- Nella fase di estrazione, la caffeina viene tolta dai grani tramite un solvente e, una volta purificata, destinata ai futuri utilizzi. Il solvente viene poi rimosso e recuperato per successivi utilizzi.
- Si passa, a questo punto, all’asciugatura: l’umidità del caffè viene ridotta al di sotto dell’11%.
È ora il momento del confezionamento: il caffè viene posto in sacchi di tela per consentirne una migliore conservazione. Da ultime ci sono l’analisi e la verifica delle percentuali residuali di caffeina, solvente e umidità che devono rientrare in specifici limiti normati.
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Per “catturare” la caffeina ci vuole l’ingrediente giusto
Quelli descritti nel paragrafo precedente sono i passaggi fondamentali per estrarre la caffeina. È con questo processo, insomma, che nasce il caffè decaffeinato. A fare la differenza nel procedimento è il tipo di solvente utilizzato.
- Acqua: i chicchi di caffè vengono immersi in acqua calda, poi filtrata con carboni attivi per trattenere la caffeina. È il metodo più semplice: tende, tuttavia, ad alterare le proprietà organolettiche del caffè. Rende, inoltre, i grani più scuri. Una caratteristica, quest’ultima, che scompare però con la tostatura.
- Un’alternativa largamente usata in passato è il diclorometano. Si tratta di un composto chimico che consente di privare della caffeina i chicchi messi a bagno in acqua. Il principale vantaggio di questa metodologia sta nella capacità di non deteriorare l’aroma.
- Simile al diclorometano è l’acetato di etile, che, tuttavia, ha un marcato sentore fruttato in grado di alterare il gusto del caffè.
Uno dei metodi di decaffeinizzazione maggiormente impiegati è quello per esposizione all’anidride carbonica. Si tratta anche del processo più complesso: necessita, infatti, di alti livelli di pressione e temperatura. Ciò affinché la CO2, in uno stato definito “supercritico”, riesca a estrarre selettivamente la caffeina senza snaturare le peculiarità del caffè.
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Bere caffè decaffeinato: sì, ma con misura
Sono proprio i metodi estrattivi, in particolare quello a base di diclorometano, a far pensare ai più che il caffè decaffeinato fa male. In realtà, sono dubbi infondati. Dagli studi fin qui prodotti, infatti, non sono emerse evidenze scientifiche circa possibili effetti negativi sulla salute.
Va, fatta, tuttavia una precisazione. Ovvero, nessun trattamento elimina del tutto la caffeina. Per legge, vi deve essere un residuo inferiore allo 0,1%. Ciò significa, per esempio, che in una tazza di decaffeinato da 125 ml vi saranno circa 3 mg di caffeina.
Un ridotto contenuto di caffeina, però, non giustifica un consumo sregolato di caffè decaffeinato. Anche in questo caso, raccomandano i nutrizionisti, è bene non eccedere nelle dosi. Nello specifico, mantenendosi sui 400 mg al giorno, come per il caffè tradizionale. Per un adulto sano, tale quantitativo corrisponde a non più di 4 o 5 tazzine¹.

Nessuna differenza tra caffè decaffeinato e normale a livello di benefici
Ciò premesso, i pro e contro del caffè decaffeinato non si distanziano poi molto da quelli del caffè normale. Anche il deca ha, infatti, un effetto antiossidante. Essendo ricco di flavonoidi, contribuisce a proteggere il fegato e a contrastare l’azione dannosa dei radicali liberi. Facilita, inoltre, la digestione e ha un’azione analgesica in caso di mal di testa.
Non solo: varie ricerche concordano nell’attribuire al caffè decaffeinato un contributo nella prevenzione dell’insorgenza del diabete di tipo 2. Stimolando alcune aree del cervello, inoltre, rallenterebbe la progressione della malattia di Parkinson. Un consumo moderato di caffè decaffeinato ridurrebbe, ancora, il rischio di mortalità da varie patologie, comprese quelle di tipo cardiovascolare. Come anticipato, il decaffeinato è consigliato anche alle donne in gravidanza e a quelle in allattamento. Insomma, una valida alternativa o, spesso, un coprotagonista in tazzina.
E le altre malattie?
Come anticipato, tra i benefici del caffè c’è la sua funzione di “scudo” nei confronti di alcune malattie croniche. È il caso, per esempio, del diabete di tipo 2. È stato riscontrato che consumare 3-4 tazzine di caffè non zuccherato al giorno non incrementa il rischio d’insorgenza di questa patologia. La caffeina, infatti, contribuisce al bilancio energetico, attraverso una riduzione del senso di fame e un aumento del metabolismo basale. La caffeina, inoltre, è in grado di ridurre la sensibilità all'insulina, ma prevalentemente nel breve termine.
NOTE
1Tra le fonti: Institute for Scientific Information on Coffee (ISIC); Let's have a cup of coffee! Coffee and coping communities at work; Daily microbreaks in a self-regulatory resources lens: Perceived health climate as a contextual moderator via microbreak autonomy.
